L’Iran travolto dalla crisi : Valutazione del potenziale di cambiamento e Terza Opzione

Dott. Ramesh Sepehrrad, autore, esperto accademico e dirigente della sicurezza informatica

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Dott. Kazem Kazerounian, professore e studioso di politica iraniana

Nota: i rapporti di ricerca e gli articoli del FISN possono essere utilizzati liberamente, purché siano debitamente citati e attribuiti agli autori e al Free Iran Scholars Network

Introduzione – La narrazione del regime e il rifiuto delle realtà imposte

Sullo sfondo dell’attuale crisi iraniana, che ha ormai assunto dimensioni globali, il futuro dell’Iran e le prospettive di cambiamento sono diventati temi di urgente dibattito. In risposta all’incessante tentativo di acquisire armi nucleari da parte del regime, alla sua distruttiva ingerenza regionale e al suo sostegno al terrorismo, e, soprattutto, al suo atroce bilancio in materia di diritti umani, il dilemma politico è stato per anni inquadrato in una scelta binaria: o condiscendenza per indurre un cambiamento comportamentale, o guerra. Per oltre quattro decenni, la politica prevalente è stata quella del dialogo con il regime, alimentata dalla vana speranza di scoprire “moderati” al suo interno e incoraggiare un cambiamento nella sua condotta. Oggi questo approccio è completamente screditato, e pochi ancora lo difendono. D’altra parte, il recente conflitto ha dimostrato che anche l’intervento militare esterno non può risolvere le minacce poste da questo regime.

Ventuno anni fa, nel dibattito tra condiscendenza e guerra, la signora Maryam Rajavi, presidente-eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran (CNRI), avvertì che la condiscendenza avrebbe inevitabilmente portato alla guerra e offrì una Terza Opzione: rifiutare sia la condiscendenza che la guerra in favore di un cambiamento da parte del popolo iraniano e della sua resistenza organizzata.

La recente guerra dei dodici giorni ha ancora una volta evidenziato la validità della Terza Opzione in un momento in cui la prospettiva di un cambiamento è più concreta che mai. Subito dopo il recente cessate il fuoco, la signora Rajavi ha affermato:


Il cessate il fuoco e la fine della guerra sono un passo avanti per la Terza Opzione: né guerra, né condiscendenza. Che sia il popolo iraniano stesso, nella sua lotta esistenziale, a rovesciare Khamenei e la dittatura del Velayat-e Faqih. Il popolo iraniano, attraverso un secolo di lotta e pagando il prezzo più alto con successive rivolte, ha rifiutato sia la dittatura monarchica che quella clericale.

Il regime al potere e i suoi circoli di influenza occidentali sono, di conseguenza, impegnati in una campagna coordinata per promuovere due false narrazioni:

  1. La pretesa “invincibilità” della Repubblica Islamica, sostenendo che l’opposizione non può provocarne la caduta e che, se si verificasse un cambiamento, ciò porterebbe inevitabilmente al caos e all’anarchia; questo sarebbe stato dimostrato dalla guerra dei dodici giorni, che presentano come prova della stabilità interna del regime.
  2. Lo spettro spesso evocato che un cambio di regime in Iran scatenerebbe lo stesso tipo di caos e collasso visti in Iraq, Libia o Siria, fratturando il Paese, innescando una guerra civile e provocando ondate di rifugiati.

Il risultato pratico di queste narrazioni è l’affermazione secondo cui non esisterebbe una vera alternativa al regime. Pertanto, sostengono che il realismo e la “realpolitik” impongano all’Occidente di proseguire la politica di condiscendenza e di dialogo con Teheran, non con l’opposizione organizzata. Di conseguenza, la “Terza Opzione” – un cambio di regime da parte del popolo e della resistenza organizzata – viene presentata come mera retorica, priva di sostanza pratica. Tuttavia, un esame approfondito dell’Iran e della regione rivela una realtà completamente diversa.

A. La posizione unica dell’Iran: distinzioni storiche, nazionali e sociali

A differenza della maggior parte dei Paesi della regione – emersi dopo il crollo dell’Impero Ottomano, plasmati dall’intervento diretto delle potenze coloniali (in particolare Gran Bretagna e Francia) e dalla definizione di confini artificiali – l’Iran possiede un’identità indipendente profondamente radicata, risalente a migliaia di anni fa. L’Iran non è né il prodotto della “matita del dominatore coloniale” né il risultato della disintegrazione imperiale; piuttosto, ha costantemente preservato la sua identità coesa e la sua struttura nazionale attraverso i numerosi sconvolgimenti della storia. Persino nei momenti più difficili, l’Iran non è mai diventato formalmente una colonia.

Anche nella storia moderna, né le invasioni straniere né i grandi sconvolgimenti sono riusciti a minare l’unità nazionale dell’Iran. Né l’assalto mongolo né le invasioni arabe, né l’occupazione alleata durante la Seconda Guerra Mondiale, né gli interventi politici e militari diretti di Russia e Gran Bretagna tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo sono riusciti a frammentare o smantellare la struttura nazionale dell’Iran.

A differenza di alcuni Paesi della regione, le cui strutture sociali e religiose sono segnate da linee di frattura interne e soggette a crisi settarie, la diversità etnica e religiosa dell’Iran è sempre stata integrata in un tessuto nazionale resiliente. Mentre la “composizione frammentata e conflittuale” degli Stati confinanti ha piantato i semi della divisione e della crisi, spesso innescati dall’interferenza del regime iraniano o da altri interventi stranieri in luoghi come l’Iraq e la Libia, la coesione dell’Iran è rimasta intatta.

In effetti, è stato lo stesso regime del Velayat-e Faqih – esportando il fondamentalismo, creando e sostenendo gruppi armati che hanno agito per suo conto e fomentando discordia etnica e religiosa – ad avere svolto il ruolo di “piromane”, alimentando instabilità, violenza e crisi in tutta la regione. Con il rovesciamento del regime, una delle principali fonti di disordini verrebbe eliminata, creando le vere basi per la pace e per una coesistenza duratura nella regione.

I vari gruppi etnici dell’Iran, inclusi curdi e azeri, hanno preservato la propria identità nazionale e si sono sempre considerati inseparabili dalla nazione iraniana – una realtà fondamentalmente diversa da quella delle loro controparti nei Paesi confinanti. In Iran, la solidarietà etnica e nazionale è centrale: i curdi iraniani, a differenza di quelli in Iraq o in Turchia, non hanno gravitato verso il separatismo. Gli azeri non solo sono stati parte integrante della nazione, ma hanno governato l’Iran per 300 degli ultimi 400 anni, e persino la “guida suprema” dell’attuale regime è azero. In particolare, due dei tre fondatori dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK) nel 1965 erano azeri.

Anche dal punto di vista religioso, sebbene l’80-90% degli iraniani siano sciiti, al di là della storia dei regimi oppressivi le minoranze religiose – sunniti, cristiani, ebrei, zoroastriani e bahai – sono, per la maggior parte, convissute pacificamente con la maggioranza. L’Iran non ha mai assistito a guerre o disgregazioni interne, né alcuna parte del Paese si è mai separata a causa di conflitti etnici o religiosi. La separazione di territori come il Caucaso o parti dell’attuale Afghanistan dall’Iran è stata il risultato di un’invasione straniera, non di conflitti etnici o settari. Questo radicato contesto storico, sociale e culturale rende infondato qualsiasi scenario libico, siriano o iracheno per l’Iran: invenzioni concepite esclusivamente nelle stanze di propaganda del regime e in think tank occidentali.

B. Il crollo della legittimità e delle capacità del regime

Nella situazione attuale, la legittimità politica e religiosa del regime è praticamente erosa. Persino i suoi tradizionali pilastri di sostegno – come settori del clero e della classe mercantile – si trovano ora ad affrontare una profonda crisi di legittimità. Il divario tra il popolo e lo Stato è più ampio e visibile che mai.

Dal punto di vista economico, il regime è in una situazione di stallo totale. L’inflazione galoppante, l’elevato tasso di disoccupazione, la corruzione endemica e le sanzioni internazionali hanno frantumato le fondamenta economiche del regime e gettato la popolazione iraniana in una crisi sempre più profonda. Queste condizioni hanno alimentato l’espansione delle proteste pubbliche.

All’interno della sua struttura di potere e del suo apparato di sicurezza, il regime si trova ad affrontare una rapida erosione della lealtà e crescenti fratture nei propri ranghi. Le sue forze repressive sono allo stremo, mentre le pressioni esterne e le ripetute sconfitte regionali hanno reso il regime più vulnerabile che mai. Insieme, questi fattori stanno spingendo il sistema verso un punto di non ritorno e una caduta incontrollabile.

Sul fronte regionale, il regime ha subito sconfitte strategiche irreparabili. L’indebolimento e la perdita della sua principale forza per procura, Hezbollah in Libano, i colpi contro gli Houthi in Yemen, la crescente pressione sulle milizie sciite sostenute da Teheran in Iraq e, soprattutto, la caduta in Siria di Bashar al-Assad, che costituiva la spina dorsale della strategia regionale del regime, hanno contribuito a smantellare ciò che un tempo definiva la sua “profondità strategica” e il suo scudo politico. Tutti questi sviluppi hanno spinto il regime sempre più vicino a un punto di non ritorno e a un collasso irreversibile.

C. Il fattore sociale: i presupposti oggettivi della rivoluzione

Dalla fine del 2017, l’Iran ha assistito a diverse importanti rivolte a livello nazionale, a dimostrazione di un diffuso desiderio di un cambio di regime. Le proteste del 2017-2018, in cui il popolo gridava “Riformisti, conservatori, il gioco è finito!”, hanno mostrato il crollo delle illusioni sul cambiamento del regime dal suo interno.

La rivolta del novembre 2019 ha segnato l’arrivo delle classi inferiori iraniane in piazza, infrangendo il mito del sostegno al regime tra i poveri. Dopo una sanguinosa repressione che ha causato la morte di 1.500 manifestanti, molti giovani ribelli hanno reagito, incendiando oltre 900 centri amministrativi e di sicurezza, secondo i dati ufficiali.

La rivolta del 2022, durata diversi mesi in tutto il Paese, è stata l’esplosione dopo quarant’anni di repressione, con donne in prima linea.

I giovani iraniani sono il motore trainante di questo movimento: una generazione nata in gran parte dopo la rivoluzione del 1979 che, nonostante decenni di propaganda del regime e di indottrinamento culturale, non ha legami emotivi o ideologici con il regime e vede il proprio futuro in un cambiamento radicale.

Negli ultimi anni, i movimenti sociali incentrati sulle rivendicazioni economiche sono fioriti. Nel solo anno iraniano 1403 (dal 21 marzo 2024 al 21 marzo 2025), sono state registrate almeno 3.092 azioni di protesta da parte di almeno 17 categorie – insegnanti, studenti, agricoltori, camionisti, fornai, pensionati, infermieri, commercianti dei bazar e altri – in tutto l’Iran. Questi numeri evidenziano la vasta portata del malcontento sociale e la prontezza della società a un cambiamento decisivo.

L’ampia partecipazione di donne e giovani in prima linea nelle proteste, come testimoniato nel 2022, attesta ulteriormente la preparazione della società al cambiamento e alla rivoluzione. Da un lato, il regime ha esaurito tutte le sue riserve strategiche e non può risolvere alcuno dei problemi della società; dall’altro, la popolazione ha raggiunto un punto di rottura e non è più disposta a tollerare lo status quo. Tuttavia, queste condizioni esplosive di per sé non garantiscono un cambio di regime: solo la presenza di una forza d’avanguardia organizzata, decisamente impegnata e altruista può trasformare questo potenziale in una vera rivoluzione.

D. Il ruolo della forza organizzata: il MEK, il CNRI e le Unità di Resistenza

Ciò che distingue davvero l’attuale situazione dell’Iran da quella di altri Paesi è la presenza di un movimento di resistenza profondamente radicato, organizzato e ampio. Il MEK (Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran), con la sua vasta rete in Iran, sei decenni di lotta e pesanti sacrifici, insieme con il CNRI, la coalizione più longeva nella storia iraniana (44 anni), svolgono un ruolo centrale e insostituibile in qualsiasi prospettiva di cambiamento.

Spesso, i riferimenti al MEK e al CNRI si concentrano esclusivamente sulle attività delle Unità di Resistenza all’interno dell’Iran, offrendo solo un quadro parziale. La realtà, tuttavia, è diversa. Il MEK e il CNRI possiedono un’ampia gamma di capacità in vari campi, che garantiscono loro la capacità di rovesciare il regime e di stabilire un’alternativa democratica. Alcuni di questi punti di forza sono descritti di seguito.

  1. Capacità culturale e ideologica: in antitesi al fondamentalismo, il MEK promuove un Islam tollerante e democratico e ha posto le donne al comando. La presenza di una donna musulmana carismatica alla guida del movimento conferisce un immenso potenziale sociale, offrendo una risposta unica al dilemma culturale di una società prevalentemente musulmana. Il popolo iraniano soffre da 46 anni a causa della manipolazione della religione da parte del regime, eppure cerca di preservare la propria identità religiosa, ottenendo nello stesso tempo la libertà in ogni aspetto della vita.
  2. Rete di quadri impegnati: una rete di quadri esperti e impegnati che promuovono questo movimento con straordinaria coesione, rendendo la Resistenza iraniana l’unica forza che mantiene contemporaneamente l’iniziativa sia all’interno del Paese che sulla scena internazionale. Quadri e sostenitori sono pronti a pagare qualsiasi prezzo, anche i propri beni e la stessa vita, per la libertà dell’Iran.
  3. Capacità politica: il CNRI si distingue per la sua visione politica chiara e attuabile per un futuro democratico. Al centro del suo programma c’è il Piano in Dieci Punti di Maryam Rajavi, che offre un modello concreto per una repubblica laica e pluralista fondata sul suffragio universale, sull’uguaglianza di genere, sulla libertà di espressione e di riunione e sulla separazione tra religione e Stato. La tabella di marcia del CNRI garantisce inoltre i diritti di tutte le minoranze etniche e religiose, l’abolizione della pena di morte, una magistratura indipendente e una politica estera basata sulla coesistenza pacifica. Radicato in decenni di lotta e di esperienza organizzativa, questo piano completo non solo risponde alle esigenze immediate della società iraniana, ma fornisce anche una base credibile per la stabilità, la giustizia e la governabilità democratica nell’era post-teocratica.
  4. Ashraf-3: Una delle risorse più importanti del MEK è Ashraf-3, con sede in Albania, che ospita quasi 3.000 dei suoi membri: una comunità concentrata con una vasta esperienza in ogni aspetto della lotta contro il regime. Nel corso degli anni, questo gruppo ha superato numerosi ostacoli, accumulando una competenza inestimabile. Ashraf-3, con i suoi mille ex prigionieri politici e un migliaio di donne all’avanguardia, è ora una potente fonte di ispirazione per i giovani e le donne iraniani e si pone come garante di un pacifico passaggio di potere al popolo iraniano nel futuro del Paese.
  5. Unità di Resistenza e strutture del MEK all’interno dell’Iran: nel 2024, le Unità di Resistenza – il braccio armato del MEK – hanno condotto 3.077 operazioni contro le basi dell’IRGC e altri centri repressivi del regime. Oltre a ciò, in tutto l’Iran si sono svolti più di 39.000 atti di sfida coraggiosa e simbolica: incendi di emblemi del regime, esposizione e proiezione di immagini dei leader della resistenza su ponti pedonali e grattacieli, scritte di slogan e graffiti in spazi pubblici. Queste azioni non solo segnalano la crescente audacia e portata della resistenza, ma hanno anche lasciato il regime psicologicamente indebolito ed esausto rispetto alla propria sicurezza.

Profondamente radicate nel tessuto della società iraniana, le Unità di Resistenza – grazie alla loro intelligence, alle loro reti sociali e alla loro abilità organizzativa – sono in una posizione unica per innescare, organizzare e guidare le rivolte. Svolgono inoltre un ruolo fondamentale nel proteggere le proteste e guidarle con precisione strategica.

Nonostante gli arresti, la dura repressione e le condanne a morte pronunciate contro i loro membri, le Unità di Resistenza sono riuscite a preservare l’integrità della loro struttura e persino ad ampliare i loro ranghi. Non solo hanno continuato a crescere orizzontalmente, espandendosi in tutto il Paese, ma hanno anche raggiunto una crescita verticale, rafforzando la loro organizzazione e, attraverso uno stretto coordinamento, consentendo azioni sempre più ampie e incisive.

Mentre le Unità di Resistenza sono alla guida del movimento all’interno del Paese, la più ampia rete sociale del MEK, che comprende famiglie di martiri, prigionieri politici e persone di ogni estrazione sociale, svolge un ruolo importante nelle proteste sociali.

Un’altra risorsa fondamentale è la rete di intelligence del MEK, che ha permesso l’accesso ai segreti più gelosamente custoditi del regime. La scoperta di informazioni delicate sul programma nucleare, sul terrorismo e di altro tipo negli ultimi due decenni è il risultato diretto di questa rete sofisticata.

E. La posizione internazionale della Resistenza

A livello internazionale, la Resistenza iraniana e il Piano in Dieci Punti di Maryam Rajavi hanno ottenuto un sostegno senza precedenti. Oltre 4.000 legislatori sui due lati dell’Atlantico, tra i quali le maggioranze della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti e di 34 Parlamenti in tutto il mondo, 137 ex leader mondiali e 80 premi Nobel, hanno formalmente approvato il Piano in Dieci Punti e la Terza Opzione, chiedendo il riconoscimento del diritto delle Unità di Resistenza di contrastare l’IRGC e gli organi repressivi del regime. Il Piano in Dieci Punti, incentrato sulla separazione tra religione e Stato, la libertà di parola, l’uguaglianza di genere, le libere elezioni, l’abolizione della pena di morte, i diritti delle minoranze e un Iran non nucleare, è diventato il fondamento della solidarietà internazionale.

F. La recente guerra e la fattibilità della Terza Opzione

La recente guerra tra Israele e il regime iraniano ha dimostrato ancora una volta che, nonostante il regime abbia subito gravi colpi, i bombardamenti non possono determinarne la caduta. L’unica vera soluzione rimane la Terza Opzione: il cambiamento da parte del popolo e della resistenza organizzata.

La realtà inconfutabile – confermata da 46 anni di esperienza – è che il popolo iraniano esige il cambiamento e che la pace, la stabilità e la tranquillità nella regione richiedono il cambiamento in Iran. Sia la condiscendenza che la guerra si sono dimostrate incapaci di riformare o sostituire il regime. Solo la resistenza organizzata, che fa affidamento sul popolo, offre un percorso credibile, pratico e legittimo per il cambiamento. Questo percorso non richiede interventi militari, né finanziamenti o armi dall’estero; dipende esclusivamente dal popolo iraniano e da una resistenza le cui autenticità, capacità e legittimità sono state comprovate negli ultimi 46 anni.

Questo recente conflitto ha messo ulteriormente in luce la completa inconsistenza del figlio dello scià e dei monarchici, che ingenuamente riponevano le loro speranze di un cambio di regime in un intervento straniero, fantasticando che i disordini avrebbero accelerato la caduta del regime e aperto le porte a un loro ritorno trionfale in Iran. Ora, profondamente disillusi, scoprono che le loro vuote rivendicazioni e le loro false “alternative” sono del tutto irrilevanti di fronte alla realtà che si sta delineando. Non possiedono né una base sociale, né un programma credibile, né una struttura organizzativa o una leadership autentica. In realtà, l’opinione pubblica e la società in generale hanno rivolto lo sguardo alla resistenza organizzata e alla sua leadership come unica via percorribile.

Non è un caso che ogni alto dirigente del regime, incluso lo stesso Khamenei, parli ora con palpabile timore e crescente allarme dell’influenza in aumento del MEK, del ruolo trasformativo di Ashraf-3, in Albania, e delle azioni delle Unità di Resistenza. Affermano ripetutamente che queste forze costituiscono una minaccia per la sopravvivenza stessa del regime. Per questo motivo, il regime ha concentrato tutta la forza del suo apparato di intelligence, sorveglianza e repressione all’interno – e le sue cospirazioni e i suoi piani terroristici all’estero – direttamente contro il Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran, il MEK e le Unità di Resistenza.

Conclusione

Contrariamente alla propaganda del regime e alle narrazioni costruite dai suoi agenti di influenza, la Terza Opzione – il rovesciamento del regime da parte del popolo e della resistenza organizzata – è non solo praticabile, ma necessaria e legittima. È l’unica via verso l’integrità nazionale, la libertà, la democrazia e il ripristino della pace e della sicurezza in Iran e nella regione. La crescente marea di proteste, la comprovata capacità delle Unità di Resistenza, lo straordinario sostegno internazionale e l’unità della dirigenza e del programma della Resistenza rappresentano le più grandi risorse nazionali del popolo iraniano e la sua speranza per il futuro.